Ruchè
Il Ruchè è un vitigno piemontese a bacca rossa, probabilmente autoctono, le cui origini sono avvolte nel mistero e divise in due ipotesi completamente all'opposto fra loro. Non essendo pervenuta nessuna informazione scritta fino ai giorni nostri, entrambe le teorie restano valide finché non sarà fatta luce, attraverso analisi genetiche e botaniche approfondite, su quella che potrebbe essere la sua reale storia. La prima teoria lo vuole importato nel Settecento dalla Borgogna, secondo la leggenda al seguito dei frati di San Rocco. Un'altra versione, probabilmente più verosimile, lo vede coltivato da tempo immemorabile sulle colline di Castagnole Monferrato, nell'attuale provincia di Asti. Non viene in aiuto l'etimologia del nome, che sembra invece richiamare il dialettale
roncet con il quale si individua un virus della vite a cui invece il Ruchè sembra resistere fino a quasi l'immunità, caratteristica conservata anche con altri tipi di infezioni. Alcuni etimologi però hanno un opinione diversa sul significato del nome e lo accostano invece alla predilezione del vitigno per i terreni impervi caratterizzati da morfologie rocciose.
Esteticamente il vitigno è descritto con grappoli medio-grandi o di dimensioni leggermente inferiori, comunque sia sempre allungati e dotati di ali. La densità risulta a spargolo. Gli acini sono rotondi e medi, mediamente pruinosi, con bucce spesse che aiutano quella forte resistenza alle virosi descritta in precedenza. Questa alta vigoria si accompagna a produzioni medie ma molto regolari, che ne fanno un vitigno di sicuro affidamento anche se un po troppo dipendente dalle annate a causa di una fioritura altalenante che può risentire del tipo di terreno. La coltivazione infatti avviene prevalentemente in collina su terreni poveri, non molto fertili e leggeri, perché questi limitano lo sbocciare delle gemme, che altrimenti condurrebbero ad una produzione eccessiva a discapito della resa qualitativa. Il Ruchè inoltre si trova a suo agio in terreni calcarei, in posizioni ben esposte ed asciutte, avendo anche pochissimi problemi in caso di scarsità idrica. Le uniche sofferenze segnalate sono quella all'oidio, al freddo e all'eccessiva ventilazione, che compromette eccessivamente la crescita dei germogli. Anche qualche insetto, come ad esempio le vespe, può destare qualche allarme. Il vitigno resta comunque poco coltivato in confronto alle altre autoctone piemontesi, anche se una sua riscoperta è avvenuta a partire dagli anni 80 del secolo scorso, quando alcune produzioni hanno raggiunto ottimi livelli qualitativi. Questo ne ha fatto un vitigno in crescita di popolarità, anche se coltivato ancora solo sulle colline di Castagnole Monferrato. Probabilmente, una volta passata la crisi economica, si assisterà ad un incremento nella produzione dei vini dal Ruchè.
Nonostante possa essere utilizzato per i tagli, il Ruchè predilige la vinificazione in purezza che risalta in vini di ottima qualità che stanno attraendo gli addetti ai lavori, facendoli uscire dal semplice uso locale come vino da tavola. Padre di questa rinascita del Ruchè sembra essere Don Cauda, il parroco di Castagnole Monferrato, viticoltore appassionato che ha trovato nei Fratelli Durando con un'azienda vinicola a Portacomaro, dei validissimi collaboratori. I vini del Ruchè hanno alte concentrazioni di polifenoli, grazie alle quali si ottengono vini aromatici concentrati in colore, con strutture solide e tanniche, supportate anche da un tenore alcolico abbastanza sostenuto. La gamma olfattiva si fregia di profonde aromaticità floreali, dove la rosa e la viola anticipano in apertura connotazioni fruttate su rosso. In bocca il vino può essere prodotto in varie tipologie, dal secco all'amabile, in cui si richiamano le sensazioni dell'esame olfattivo. Il palato risulta molto morbido, quasi vellutato, grazie ad una trama tannica non spigolosa e la solida struttura corroborata dai 14% vol minimi presenti nel vino. Il colore va dal rubino scarico con venature viola porporee osservabile in gioventù fino a toni aranciati quando il vino viene invecchiato.
Il Ruchè viene protetto dalla sua denominazione Ruchè di Castagnole Monferrato DOC dove il disciplinare indica un taglio massimo con altre uve del 10%. I vini in purezza del Ruchè si arricchiscono con abbinamenti di rango, quali i grandi formaggi erborinati o stagionati, le paste fresche e ripiene di carne della tradizione italiana così come stufati e brasati di lunga elaborazione. Bene anche con carni rosse al forno, molto aromatiche, e con carni speziate di tradizione non italiana, quali piatti alle salse di senape o curry. La tipologia amabile è perfetta se abbinata con la pasticceria secca, e le versioni invecchiate riescono a proporsi come ottimi vini da meditazione, alla temperatura di 18 °C.
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Il Ruchè riscoperto solo negli ultimi anni non ha ancora un folto gruppo di produttori pronti a proporlo in modo deciso, ma quei pochi che attualmente hanno investito su di lui ne stanno riscuotendo il successo.
Ottimo è l'esempio del Monferrato Rosso Rouchet Briccorosa, 14% vol con colori densi. Spicca subito al naso la profumazione delle rose, seguita da toni penetranti alle more e un rinfresco di pesca. Il tutto è chiuso dall'aroma di liquirizia. In bocca il vino risulta molto fresco e morbido, grazie alla dolcezza tannica. Grande la persistenza finale, molto lunga. È da provare con il risotto ai formaggi.
Anche le Cantine Sant'Agata si segnalano per un superbo Ruchè di Castagnole Monferrato 'Na Vota, con un naso molto complesso dove compaiono anche la noce moscata e il pepe rosa ad accompagnare le sensazioni provate con il precedente vino, anche se senza la chiusura di liquirizia. Anche qui il palato è molto dotato, solido, per il coniglio in salsa di senape.
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